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venerdì 25 dicembre 2020

Per un Natale più inclusiv*

Car* amic*, per non discriminar*  nessun* ho decis* di scrivere degli augur* ** più possibil* inclusiv* 

per ***  ho  ******* di *****************************************************************

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POST SCRIPTUM 

Desidero tranquillizzare subito i miei due o tre lettori... no, non sono impazzito e non mi sono adeguato al linguaggio inclusivo che oggi ci rifilano in ogni dove. Semplicemente riflettevo in questi giorni come a forza di eliminare tutto ciò che a detta dei moderni censori può costituire una discriminazione di un qualche tipo si finisce per cancellare ogni cosa e lasciare soltanto un grande vuoto. E questo nulla che si aprirà sotto i colpi del politicamente corretto costerà un prezzo altissimo, ma dopo tanto penare forse (e sottolineo forse) quando si dovrà ricostruire non ci saranno ingombri. Ma in fondo anche questo nulla non conta più perché Dio lo ha colmato, è venuto a dare un senso alla nostra vita. Lui sì che è davvero inclusivo perché non ha disdegnato di mandarci suo Figlio pur di non lasciarci soli e disarmati dinanzi alla nostra miseria. 

Auguri di un Santo Natale a tutti voi. 



lunedì 23 novembre 2020

Citare facendosi del male

 

Mi sarei stupito se non vi fosse stato alcun elemento di cui discutere nell'ultimo articolo (cliccare qui ) che riporta un estratto delle parole di Papa Francesco contenute nel suo nuovo libro "Il cielo sulla terra - amare e servire per strasformare il mondo" edito prossimamente dalla Libreria Editrice Vaticana.

Continuo a ritenere questo moltiplicarsi di interviste su quotidiani, canali tv e media un vulnus non da poco nei confronti dei semplici fedeli, dei pastori (e sono tanti anche se non fanno notizia) che con grande fatica e grande zelo annunciano il Vangelo all'uomo d'oggi senza banali semplificazioni e ammiccamenti al mainstream dominante e in fin dei conti della Chiesa stessa e della sua missione, ma questo è lo status quo e se gli scivoloni fatti sino ad ora non hanno fatto cambiare idea non so francamente cosa possa farlo. Di certo non si potrà più accampare la scusa dei "cattivi giornalisti che fraintendono" perchè l'ingenuità si poteva concedere le prime volte ed ora non tiene più.

Inutile girarci intorno. Il passo che più ha destato perplessità è la citazione (ben due volte) di  quel Martin Lutero che già in precedenza Francesco aveva definito una "medicina per la Chiesa". 

Ora, non è che vi sia un anatema che impedisca di citare il monaco di Wittenberg, ma appare quanto meno singolare che la citazione provenga dal Vicario di Cristo nonchè Pontefice della Chiesa Cattolica e per di più al fine di illustrare il primato della Grazia e il suo rapporto con la giustizia. Forse che in casa cattolica mancavano luminosi esempi da citare? Posso capirlo (fino ad un certo punto però) nel contesto di un incontro ecumenico, ma che mi si citi Lutero per spiegare l'unicum rappresentato dalla Carità cristiana sinceramente un po ' mi lascia perplesso. 

E comunque citare il fondatore del protestantesimo che spiega il legame tra giustizia e pietà può divenire rapidamente un boomerang se consideriamo la pietà dimostrata dallo stesso nei confronti dei contadini tedeschi ribellatisi ai loro Principi (protettori e sponsor guarda caso proprio dell'ex monaco agostiniano).

Scriveva infatti Lutero in proposito: " ...Pertanto, come già scrissi più volte, dico di nuovo: verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentire ragione, nessuno abbia un po' di compassione, percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...".                                
(Martin Lutero, scritti Politici, Utet, Torino 1978). 

E sarebbe interessante citare sempre a proposito di giustizia e pietà qualche parola (assai simile ad un turpiloquio di bassa lega) che l' illustre di Sassonia riservava agli Ebrei e ai Pontefici cattolici.            Ma è già evidente come nel citare a volte ci si può fare (ancora) del male e francamente in questo momento non se ne sentiva proprio il bisogno.

domenica 8 novembre 2020

Elezioni USA 2020

 
Non siamo americani e dobbiamo riconoscere che la realtà di quel paese e quindi dei suoi aspiranti presidenti ci è assai sconosciuta e da noi giunge spesso ben "filtrata" prima di esserci narrata.
Certamente lo sport di queste settimane è dire ognuno la sua su questa kermesse elettorale, ma al di là della tuttologia oggi tanto di moda, resta pur vero che ciò che accade al di là dell'oceano ha sempre ripercussioni al di qua. 
Non voglio quindi tirarmi indietro dal dire la mia.
Se fossi stato un elettore statunitense so per certo che non avrei mai votato per i democratici e probabilmente avrei votato per Trump. 
Di sicuro questa mia dichiarazione contribuirà a scremare ulteriomente la platea dei due o tre lettori per cui chi ancora non ha abbandonato la pagina può provare a resistere sino alla fine di questo post. 
Pare che Biden e quindi i democratici abbiano vinto questa tornata elettorale. Potrete constatare che da noi nelle passate settimane la narrazione era che avrebbero stravinto e il fatto che non sia accaduto costituisce già una notizia di non poco conto. 
Gli USA restano quindi un paese profondamente spaccato e i democratici di certo hanno più di qualche responsabilità in questa frattura. Sarà importante vedere ora che sono al comando come gestiranno quel fuoco rivoluzionario sul quale hanno tanto soffiato nei mesi scorsi. Da che mondo è mondo essere di lotta e di governo non è mai stato facile (anche se da noi in Italia vi sono fior di professionisti).
Comunque questo risultato elettorale (anche se pare ci sarà un passaggio alla corte suprema e sarà interessante capire cosa accadrà) mi suscita una preoccupazione cui è strettamente connessa una curiosità. 
La preoccupazione è per l'operato ed il background culturale della vice-presidente Kamala Harris, un personaggio di ferro che sui temi eticamente sensibili ha idee che definisco allucinanti e che mi ricordano molto il "mondo nuovo" di Aldous Huxley. 
Siccome però le scelte che riguardano i fondamenti dell'umano finiscono sempre per toccare tutti gli aspetti della vita allora chi ha avuto il coraggio di leggere sin qui potrà comprendere perchè io sia sensibilmente preoccupato avendo la consapevolezza, già esplicitata prima, che tutto ciò che si palesa in America ha forti riverberi nella nostra vecchia Europa e in buona parte del mondo. 
Da qui la curiosità cui accennavo prima. Poichè il vero obbiettivo era quello di arrivare a governare e farlo portandoci Kamala Harris direi che Joe Biden ha raggiunto il suo scopo e ha cessato la sua utilità (e anzi potrebbe essere di intralcio visto quanto era "bollito" già in campagna elettorale). 
Sono pertanto assai curioso di come Biden verrà messo da parte per fare spazio alla Harris e forse anche un poco preoccupato per lui. 
 

mercoledì 27 maggio 2020

A rigor di logica...


Ritengo che la parola “logica” oggi infilata in molti discorsi sia ben lontana in realtà dal suo vero significato e che rappresenti uno di quei termini che sono utilizzati per dare maggiore peso ad un discorso e per ricoprirlo di un’aura di indefettibilità  e superiorità morale. 
Infatti si sente spesso dire: 

A rigor di logica un prete che non è sposato non sa nulla della vita di coppia e quindi non  può parlare di matrimonio. Seguono applausi vibranti dagli ascoltatori. 

A rigor di logica per lo stesso motivo uno che abbia fatto promessa di celibato non conosce nulla del sesso e quindi non deve permettersi di fare la morale agli altri. Le mani degli interlocutori si spellano a forza di applaudire. 

A rigor di logica una coppia che parla di castità o dice una bugia o non sa di cosa parla perché come si fa a stare senza sesso e per di più al giorno d’oggi? Cori di approvazione salgono dai partecipanti al dibattito. 

A rigor di logica come può la Chiesa parlare di povertà se possiede ingenti ricchezze? I supporter intonano cori da stadio. 

A rigor di logica noi della parte ricca del mondo non possiamo permetterci di parlare di indigeni e  Amazzonia perché noi siamo quelli che hanno contribuito a oscurare la genuinità del buon selvaggio. Il pubblico si alza in piedi ad applaudire. 

A rigor di logica noi adulti non dobbiamo azzardarci a parlare di ecologia e rispetto della natura perché noi siamo quelli che hanno rovinato il futuro a Greta e alla sua generazione e per questo dovremo pagare. 90 minuti di applausi ininterrotti ed il pubblico in delirio. 

E poi ancora una cosa...

A rigor di logica come ci si può permettere di parlare di aborto e addirittura di un diritto ad esso se  ad ognuno di quelli che ne discutono è stato garantito quel diritto di nascere e vivere che con l’aborto viene sistematicamente negato? 

Urla dal pubblico, lacrime di rabbia e frustrazione per tale affronto,  lancio di oggetti, insulti, accuse di ritorno al Medioevo, di oscurantismo e di un insopportabile bigottismo e soprattutto...la fine di ogni logica, quella vera. 

sabato 2 maggio 2020

Spunti per riflettere...


Ho amici che in quanto personale medico-sanitario vedono e combattono ogni giorno il Coronavirus e le sue conseguenze.
Mi hanno testimoniato la pericolosità insita in questo virus e i rischi per tutti i contagiati per cui davvero non intendo entrare in discorsi tecnici legati alla chiusura o meno delle chiese.
A dirla tutta la questione non è nemmeno sulle chiese chiuse perchè queste sono sempre state aperte bensì sulle celebrazioni coram populo e dobbiamo ammettere che la stessa Conferenza Episcopale Italiana nel suo comunicato dell' 8 marzo non è stata capace di spiegarlo in modo chiaro (se volete potete leggere il comunicato qui).
Quello che mi premeva però sottolineare e che avevo già evidenziato in precedenti post (qui e qui) era la questione delicata del principio della libertà di culto e le implicazioni ad essa inevitabilmente collegate.
Interrogarsi sul principio di tale libertà non significa gridare sguaiatamente per riaprire le chiese e chi se ne importa delle conseguenze, ma ragionare e riflettere su come garantire quella libertà con responsabilità.
E vorrei dire in maniera chiara che una responsabilità può esercitarsi solo nella libertà.
A chi definisce i cattolici come irresponsabili perchè si interrogano sulle modalità  per poter partecipare alla messa rispondo che irresponsabile è chi non sa gestire o gestisce male la propria  libertà e non chi è stato privato di essa a priori.
Ma veniamo al dunque: dopo la conferenza stampa di Conte del 26 aprile le brutte impressioni che avevo avuto si sono concretizzate e sinceramente mi sarebbe piaciuto davvero essermi sbagliato.
Le esternazioni del presidente del Consiglio hanno però operato un mezzo miracolo e hanno fatto battere il colpo ad una CEI del tutto anestetizzata sino a pochi giorni prima.
Il comunicato emesso da quest'ultima appena ricevuta la doccia fredda del divieto delle messe cum populo era durissimo e non dava adito a sconti. Certo aveva un sapore tardivo...un po' come uno che grida "al ladro, al ladro!" quando il criminale gli ha già svaligiato la casa ed è ormai lontano, ma era comunque un segno di vitalità.
Ammetto anche di aver notato come tanti personaggi e non pochi prelati molto "social", che sino all'altro giorno invitavano all'obbedienza assoluta alle autorità civili tacciando di irresponsabilità e bigottismo chiunque anche solo si manifestasse perplesso, dopo il duro comunicato della CEI siano saltati sulla barricata sventolando il vessillo della libertà di culto salvo poi rientrare in un più prudenziale "vediamo però bisogna essere attenti..." dopo le parole del Santo Padre del 28 aprile di cui dirò dopo.
Addirittura un cardinale asseriva che "prima di essere buoni cristiani dobbiamo essere buoni cittadini" e tra le tante cose che ho pensato nel leggerlo mi è sovvenuto di suggerirgli di andare a raccontarlo proprio ai cristiani della chiesa clandestina cinese dove notoriamente l'essere un buon cristiano non è segno di essere un buon cittadino con tutte le conseguenze del caso ( se non ci credete potete leggere le sue parole qui).
Si sa che è molto più comodo salire sulle barricate solo il tempo di farsi notare mentre si sventola una bandiera che contribuire a innalzarle ed eventualmente a morirci combattendo, ma questo ormai è uno sport praticato da tempo e a molteplici livelli.
Una cosa dobbiamo però dirla.
Il trattamento riservato alla CEI e alle sue aspettative in merito al culto è il frutto evidente di una semina disastrosa degli ultimi anni.
La CEI a partire dai suoi vertici si è appiattita e allineata ad un'area politico-istituzionale decidendo di tacere (o tenere un profilo molto basso) su determinate tematiche e sposandone altre in maniera del tutto acritica permettendo che di queste ne fosse fatto un uso ideologico e strumentale e spesso avverso a ciò che la Chiesa stessa insegna da sempre.
E il risultato più evidente è il tracollo sui temi etici nell'arco degli ultimi tre anni a partire dall'approvazione della legge sulle unioni civili seguita poi dal divorzio breve, dalla legge sul bio-testamento per arrivare alle recenti sentenze in materia di fine vita della Corte Costituzionale.
E si badi bene che è improprio parlare di sconfitta perchè per perdere bisogna almeno scendere in battaglia e le gerarchie si defilarono ben prima di qualsiasi agone lasciando consapevolmente soli molti laici e coraggiosi sacerdoti che pure si mobilitarono per fermare le derive etiche di cui sopra.
Una responsabilità che la CEI può a buon diritto condividere anche con il Vaticano (ben prudente nei suoi interventi e quasi sempre fuori tempo massimo) e che si appesantisce ancor di più sapendo il favore esplicito accordato al governo Conte-bis fin dalla sua costituzione e le pressioni esercitate perchè nascesse a tutti i costi.
Quanto affermato ora sulla CEI dovrà prima o poi essere messo sul piatto e ci saranno responsabilità ben precise che dovranno essere assunte, ma resta il dato positivo di una Conferenza Episcopale che ha rialzato la testa e per questo va appoggiata e sostenuta (in primis con la preghiera).
Ma il 28 aprile durante la Messa trasmessa in straeming da S. Marta  hanno fatto discutere le parole pronunciate da Papa Francesco che qui riportiamo:
"In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni"
E qui, come spesso sotto questo pontificato, si è scatenata la ridda sulle interpretazioni e sulle intenzioni celate dietro a queste parole.
Mi limito a due brevi considerazioni.
La prima vuole restare su di un piano meramente comunicativo.
Al di là delle intenzioni il risultato è stato che praticamente tutti i media hanno ripreso e raccontato tali parole come una sconfessione della dura presa di posizione dei vescovi italiani.
Così come il "chi sono io per giudicare", le interviste reiterare a Scalfari  e molte altre frasi il risultato è stato disastroso e il danno che ne è seguito non di poco conto e viene da chiedersi se davvero sia solo una serie di sfortunate coincidenze o che altro.
La seconda considerazione è invece di metodo.
Molti in questi giorni hanno accennato al fatto che tali parole di Francesco siano parte di un sofisticato gioco di diplomazia per ottenere un risultato in merito alla ripresa delle celebrazioni con i fedeli. Una specie di gioco del poliziotto buono (il Pontefice) e poliziotto cattivo (la CEI) ed è ipotesi sensata.
Ma il risultato è una confusione che non fa che aumentare, e con essa la divisione tra fedeli, all'interno dello stesso clero e nelle gererchie ecclesiastiche.
Una confusione che non giova alla Chiesa e meno che mai ora. 
Al di là appunto delle intenzioni e degli scopi di tali parole, in un momento in cui la debolezza della loro posizione era evidente i vertici episcopali italiani si sono visti tacciare di irresponsabilità  per aver puntato i piedi e chi li accusava  ha potuto utilizzare con facilità le parole del Vescovo di Roma. Già in merito alla polemica sulle chiese romane chiuse e poi riaperte nell'arco di ventiquattr'ore si era sacrificato come capro espiatorio il Vicario della città di Roma e ora pare ripetersi la stessa modalità con la CEI.
Se si conseguirà il risultato sperato lo si farà ad un prezzo decisamente alto in termini di credibilità che lascierà profondi strascichi e soprattutto scoperto il fianco a nuovi attacchi. 
Cosa ci riservano i prossimi mesi solo Dio lo sa, ma è bene come Chiesa che si rifletta su quanto sta accadendo ad extra e ancor più ad intra perchè di certo altre prove verranno.
   

martedì 21 aprile 2020

Povertà…




Giovannino Guareschi metteva sulla bocca del suo don Camillo queste parole: “la povertà non è un merito, ma una disgrazia”.                   
E aveva quanto mai ragione!  L’automatismo ricco = cattivo e povero = buono è ormai diffusissimo a tutti i livelli da quello politico a quello ecclesiale passando per quello educativo. 
Ma la povertà non costituisce un patentino di bontà così come la ricchezza di malvagità. 
Immaginatevi la ricchezza come la luce del sole.                                                    Se colpisce un diamante esso avrà una brillantezza unica e bellissima. Se la stessa luce si dirige su di un coccio di vetro non farà altro che evidenziarne tutta la banalità. 
Ora immaginatevi la povertà come del fango.                                              Potrà ricoprire il diamante, ma questo non diminuisce il suo valore e anzi...una volta lavato via il fango avrete trovato un tesoro. Parimenti se lo stesso fango ricopre un coccio di vetro non ne aumenta il valore e anzi...oltre alla delusione per il ritrovamento senza valore rischierete anche di tagliarvi.                                                    La povertà ( e parimenti la ricchezza) fa solo emergere il vero delle persone, ma non ne determina l’intima essenza. Al più può contribuire a nascondere o rivelare      maggiormente ciò che abita il cuore dell’uomo. 
Comprendiamo così meglio quando Gesù afferma che “i poveri li avrete sempre con voi”. 
Egli lo ha detto non perché banalizzassimo la povertà o al contrario la mitizzassimo, ma perché essa (materiale o spirituale che sia) ci mettesse di fronte alla verità del nostro cuore. 
E per guardare al nostro cuore e accostarci a quello dei fratelli abbiamo bisogno dello sguardo di Colui che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, uno sguardo di Amore e al contempo di Verità...insomma lo sguardo del Risorto.

domenica 12 aprile 2020

Il profumo della Pasqua



Anche quest’anno il Triduo Santo è arrivato e ha trovato il suo culmine nell’annuncio della Resurrezione di Cristo. 
Ho un preciso ricordo legato ai tanti tridui vissuti in questi 41 anni. 
E più precisamente molti ricordi sono legati ai profumi. 
Il profumo dell’incenso di quando servivo come chierichetto nella mia parrocchia natale, il profumo delle candele, quello dei rami d’ulivo e soprattutto il profumo della primavera tutto intorno, il marchio della natura che comincia a svegliarsi dal lungo sonno invernale. 
Eh sì perché diciamocela tutta: la vita profuma di buono e nessuno di noi può negarlo. 
Come un neonato che ha un  profumo indescrivibile e che risveglia tenerezza in tutti coloro che gli stanno accanto o come quei profumi che ci riportano immediatamente all’età dell’innocenza e ai bei ricordi. 
Ma ogni profumo è destinato prima o poi ad affievolirsi o peggio ancora ad essere guastato. 
In questi giorni che pure vedono il ritorno della primavera il puzzo della morte, della paura e dello sconforto sono una triste realtà. 
Ormai tutti noi abbiamo nelle narici il puzzo dei disinfettanti e dei prodotti a base d’alcool e per tanti  l’odore della malattia e delle corsie ospedaliere è una triste quotidianità siano essi pazienti o personale sanitario. 
E tutto questo ci ricorda che ineluttabilmente questa vita che abbiamo ricevuto e nella quale siamo immersi è un’esistenza già consegnata alla morte e ben riassunta da quel “polvere sei e polvere ritornerai “. 
Ma in quel giorno di quasi duemila anni fa in un giardino della Giudea si è sprigionato un profumo così  intenso da non poter più essere cancellato. Il profumo della Vita piena in cui ogni promessa trova attuazione, in cui ogni esistenza trova il proprio senso, in cui le storie incompiute trovano compimento, le speranze la loro realizzazione e ciò che è destinato alla decadenza trova l’eternità. Un profumo che circonda e attende in pienezza tutti coloro che crederanno a Gesù morto e  risorto. 
Che la grazia del Risorto ci aiuti a “gustare e vedere quanto è buon il Signore” oltre i nostri meriti e nonostante i nostri demeriti. 

Gli auguri di una Santa Pasqua a tutti voi. 

sabato 4 aprile 2020

Altre riflessioni al tempo del coronavirus...


Questo post necessita di due premesse importanti. 
La prima è questa: la situazione venutasi a creare con il Covid-19 ha spiazzato tutte le istituzioni. Ha colto impreparato il governo, ma oserei dire non solo quello. Tutte le rappresentanze politiche in qualche modo non avevano messo in conto cosa sarebbe potuto accadere. Certo è facile dire a posteriori cosa si sarebbe dovuto fare (e a dire il vero anche prima qualcuno aveva chiesto di agire diversamente) ma è un dato di fatto che la politica abbia dovuto destarsi di colpo dal proprio giaciglio fatto di schermaglie finalizzate unicamente ad accaparrarsi il consenso. 
Certo fare peggio di chi attualmente governa è improbabile, ma sostenere che chiunque altro fosse stato al timone avrebbe agito in maniera impeccabile è altrettanto errato. Quest’epidemia ha colto di sorpresa tutti e lo stiamo ahimè vedendo non solo nella nostra Italia, ma in tutto il mondo. Anche la narrazione trionfale cinese su come si sia debellato il virus inizia a scricchiolare e diversi indizi ci fanno intuire come il numero dei deceduti e la gestione dell’emergenza sanitaria non corrispondano a quanto ci è stato propinato. 
E tale pandemia non ha risparmiato nessuno ivi compresa la Chiesa (anche se non esauribile ovviamente in una semplice istituzione umana) che si è ritrovata a dover capire come muoversi e operare in una situazione di emergenza che dai tempi della seconda guerra mondiale non si era di fatto più verificata. Con onestà dobbiamo anche ammettere che il mondo ecclesiale esce un poco ammaccato almeno in alcune sue compagini. 
Più in generale il morbo ha costretto tutto e tutti a guardare all’essenziale, ai principi fondanti e nel caso della chiesa italiana a riflettere (e forse un po’ rosicare) sul principio della libertà religiosa e dell’indipendenza dalle istituzioni civili. Non voglio soffermarmi troppo su questo, almeno non qui, ma vi invito a leggere bene la risposta inviata alla CEI che aveva chiesto chiarimenti in merito alla possibilità di recarsi in chiesa a pregare muniti di apposita autocertificazione. 
La seconda premessa riguarda più nello specifico questo blog ed il sottoscritto. Alcuni anni fa creai questo spazio più che altro per costringermi a scrivere molte delle cose su cui mi soffermavo a riflettere. E in questi anni mi ha sorpreso vedere che vi erano lettori sparsi un po’ dappertutto. Con alcuni ci si è anche scritti e mi ha fatto personalmente piacere sapere che non ero il solo a pensare certe cose. Perché dico questo? Perché è possibile che ciò che scriverò qui di seguito non incontri stavolta il favore dei miei due o tre lettori il che è prima di tutto lecito e se qualcuno si sentisse in dovere di dissentire lo scriva liberamente. Mi sono sempre assunto la piena responsabilità di ciò che scrivo e prima ancora ho pensato per cui comprendo benissimo che si possa non concordare e volentieri lo accolgo anche come un’occasione per riflettere ulteriormente su quanto affermo. 
Ed ora veniamo al succo della questione. 

Come tantissimi italiani ho seguito con la mia famiglia venerdì 27 marzo la preghiera di Papa Francesco cui è seguita la solenne benedizione. 
Mi ero ripromesso di non scrivere nulla, ma poi nei giorni a seguire ho notato alcune cose. 
Dopo la preghiera del Papa ho percepito due atteggiamenti distinti e antitetici tra loro. 
C’erano i contrari a prescindere, quelli che qualunque cosa capiti “è colpa di Bergoglio” e che si sono affrettati a scandagliare ogni particolare dell’evento per trovare falle, difetti e mancanze. Questi ci sono sempre stati anche sotto altri pontificati anche se forse in maniera minore e oggi molti di quelli si sono riconvertiti ad entusiasti, ma se questi li avevo già messi in conto ammetto che mi hanno sorpreso di più quelli dell’altro “fronte”. 
È la schiera dei normalizzatori che solitamente quando si esprimeva una qualche perplessità in merito a gesti, parole e scelte di questo pontificato si affrettavano a dire che non era vero, che si stava mancando di misericordia e che il fronte tradizionalista (tipico tra l’altro fare di tutta l’erba un fascio) si aggrappava alle profezie delle varie apparizioni mariane per screditare il Pontefice regnante e tante altre cose che possiamo tralasciare perché ormai risapute. 
Ebbene l’aspetto paradossale è che la corazzata normalizzatrice non si è fatta problemi dopo il 27 marzo a riprendere post dei cosiddetti tradizionalisti e a commentarli con insulti anche coloriti (non mi pare un eccesso di misericordia) e soprattutto a lanciarsi in ardite (a mio giudizio) interpretazioni della preghiera di piazza San Pietro come la piena realizzazione del terzo segreto di Fatima. 
Permettetemi, ma trovo la cosa in sé paradossale e con una buona dose di comicità. 
E il sottoscritto? Se si colloca come si colloca? 
Anche qui devo fare una piccola premessa: chi mi legge sa che non ho lesinato nell’esprimere perplessità, dubbi e talora critiche a determinate istanze di Papa Francesco e del suo pontificato. 
E proprio alla luce di quanto ho visto venerdì 27 marzo non le rinnego e le sostengo ancora.
Perché dico questo? 
Perché in quella piazza bagnata dalla pioggia ho visto il vicario di Cristo fare questo: innalzare, perché tutto il mondo lo vedesse, quel Pane di Vita Nuova che solo dà senso al mondo e all’esistenza di ognuno di noi. 
Lo ha fatto di fronte ad un mondo che è andato e ancora vuole andare  palesemente in un’altra direzione ritenendo di essere unico riferimento di se stesso al punto che alla prima grande difficoltà si rende conto di non avere il controllo di nulla.
Di fronte al Santissimo Sacramento benedicente mi sono sentito confermato nella mia (seppur piccola, traballante e immatura) fede che non è solo mia personale, ma dalla e nella Chiesa mi è stata trasmessa. 
E proprio perché mi sono sentito a casa, confermato e rincuorato da Cristo stesso (perché un Papa, chiunque esso sia, ha il compito primario di confermare nella fede) comprendo perché in tante occasioni precedenti invece sono stato assalito da perplessità, dubbi e fatica, a volte tanta fatica. 
Tutte le volte in cui si è guardato a soluzioni umane troppo umane e con la scusa di rivoluzioni pastorali si è pensato di risolvere tutto senza prima volgere lo sguardo al Diretto Interessato sono stato colto dal dubbio. 
In tutte quelle occasioni mi sono sentito a disagio perché ho avuto l’impressione che in fondo in fondo si ritenesse che l’uomo può fare a meno di Dio. 
Per cui che volete che vi dica? Da che parte stare?
Per me la risposta è piuttosto semplice: né con gli uni né con gli altri. 
Il mio  sforzo deve essere unicamente quello di tenere lo sguardo fisso su quel Pane Vivo (che il vicario di Cristo comportandosi come tale ci ha mostrato) augurandomi, come scriveva Guareschi, non che Dio sia con me, ma che io almeno possa sperare di essere con Dio. 



giovedì 19 marzo 2020

Citazioni...




C’è stato un tempo in cui i Papi citavano nei loro discorsi e nelle loro interviste i Padri della Chiesa, i filosofi dell’antichità e grandi del pensiero antico e moderno. Non lo facevano per fare sfoggio di sapienza e buona memoria e neppure per un semplice esercizio retorico.
Quando un figlio vuole toccare il cielo si appoggia sempre con sicurezza sulle spalle del proprio papà.
Così era per Giovanni Paolo II e per Benedetto XVI (solo per citare gli ultimi due) e questo ha fatto si che essi stessi divenissero a loro volta padri nel pensiero e soprattutto padri nella fede e oggi per molti di noi il citarli è fonte di sicurezza e conforto.
Ma ai giorni nostri le citazioni papali si sono dirette verso nuovi orizzonti, si preferisce nominare personaggi come Emma Bonino e citare il noto conduttore Fabio Fazio. Nessun richiamo alla conversione, nessun invito a leggere questo segno dei tempi come un richiamo a ciò che davvero conta.
Come mi scriveva un amico: il sunto è che non importa che tu creda o meno in Dio, basta essere buoni e “andrà tutto bene” che è il nuovo mantra, l’evoluzione 2.0 dei gessetti colorati e del cantare a squarciagola Imagine per esorcizzare la paura.
Ma a Bergamo nessuno canta dai balconi. A Bergamo si guardano sfilare (e le immagini le stiamo vedendo tutti ) i camion dell’esercito carichi dei feretri dei morti a causa dell’epidemia di Covid 19.
E più che mai avremmo bisogno di qualcuno che ci indicasse i giganti della fede e che per mezzo loro ci dicesse, anche tra le lacrime perché sono segno di vicinanza proprio come pianse Gesù, che in tutta questa impotente assurdità (in cui ad alcuni andrà bene, ma a tanti altri no) c’è comunque un senso al di là di come andrà a finire.
Per cui se Francesco oggi cita Fazio, ieri la Bonino e domani chissà chi altro non ne abbia a male se un domani non lo si citerà (non essendo il citare un dogma di fede).
E oggi nella solennità di San Giuseppe preghiamo per i nostri padri, soprattuto quelli nella fede perché il Signore li guidi, li ispiri, li tiri anche per la collottola se necessario perché possano soccorrere noi che spesso ci sentiamo orfani.

Andrea Musso

giovedì 27 febbraio 2020

Pensieri al tempo del Coronavirus...



Quando in futuro si farà riferimento a questo tempo di certo l'appellativo più probabile sarà "i giorni del Coronavirus" o similari.
Ed in effetti questo post nasce proprio da ciò che è accaduto a causa di questo virus giunto dalla Cina e che ormai è divenuto (purtroppo) parte della nostra quotidianità.
Prima di addentrarmi nell'argomento che intendo sviluppare desidero rivolgere un pensiero a tutti coloro che in questi giorni, di fronte ai decessi ormai arrivati a dodici, hanno commentato che in fondo si trattava di "anziani con importanti patologie pregresse" evidenziando bene quale sia la visione utilitarista della vita ormai affermatasi in Italia e che recenti leggi approvate e sentenze della Corte Costituzionale hanno semplicemente sancito.
Ebbene a costoro auguro di non trovarsi mai di fronte ai familiari delle vittime perchè potrebbe non essere affatto un incontro di cortesia.
Ma non voglio qui parlare diffusamente della questione Covid-19 bensì tenerla sullo sfondo per osservare da vicino la prospettiva ecclesiale ad esso strettamente collegata.
Come ben sapete sono giorni questi senza messa, senza funzioni delle ceneri, senza funerali, senza sacramenti, senza confessioni, senza catechismo e senza attività oratoriali nelle cosiddette zone rosse ed in quelle limitrofe nonchè in quelle regioni dove si sono registrati plurimi casi di contagio.
Premetto che concordo sul fatto che si possano adottare misure stratordinarie per evitare il facile contagio e che si possa giungere a scelte anche impopolari e dolorose. Ma più ancora mi interessa la questione di principio che vi è dietro perchè il Coronavirus passerà (presto o tardi che sia) ma il principio resterà lì inamovibile a ricordarci il nostro operato.
Ebbene la questione, a mio avviso grave, è che una autorità civile abbia stabilito delle misure restrittive inerenti l'ambito religioso (anche se per motivi di pubblica sicurezza) non consultando prima l'autorità religiosa. Anzi, e forse è ancora più grave, la stessa autorità religiosa si è adeguata senza colpo ferire al punto da andare in certi casi addirittura oltre le misure richieste dalle disposizioni indicate da Ministero e Regione.  
Mi si dirà che era per una causa di forza maggiore e posso concederlo senza difficoltà.
Sta di fatto che qui si è sancito (di certo incolpevolmente e probabilmente incosapevolmente) il principio che in una situazione considerata di emergenza una autorità civile possa limitare la libertà di azione nell'ambito religioso a prescindere dall'autorità religiosa stessa che diviene una semplice esecutrice.
Siccome mi è stato insegnato anni orsono a ragionare sui massimi sistemi ritengo che siamo entrati in un campo pericoloso perchè oggi lo si è fatto per un bene unanimemente riconosciuto, un domani chissà...
Lascio a voi di fantasticare sui possibili scenari futuri.
E veniamo ora a ciò che è stato stabilito dai nostri vescovi in merito all'emergenza Coronavirus. Come abbiamo detto sono state sospese tutte le funzioni, inizialmente però si erano solo (si fa per dire) vietati la comunione in bocca e il segno della pace (sostituito in certi casi da un bel sorriso perchè "volemose bene"!). In seguito poi si è arrivati alla sospensione delle Messe e di tutto il resto.
Una nota di comicità: si è data disposizione di vuotare la acquasantiere che però in certe parrocchie che conosco avevano accumulato una notevole quantità di mucillaggine al punto da poter costituire un habitat naturale per le rane della piaga biblica.
Ma a parte questa battuta simpatica mi chiedo perchè allora non si sia vietato tutto...perchè si sa che ormai in tantissime funzioni il Padre Nostro lo si prega dandosi tutti la mano, che spesso i banchi della chiesa sono più sporchi ancora dei banchi di scuola (ed è tutto dire) e che dopo i cellulari la cosa meno igienica al mondo sono i soldi e non mi risulta però sia stata sospesa la questua.
Viene anche da chiedersi quanti fedeli ancora usino le acquasantiere, quanti fedeli ricevano ancora la comunione in bocca e se davvero i ministri straordinari della comunione (che sebbene si debbano chiamare in casi di assoluta necessità ormai sono diventati parte dell'ordinario) si siano lavati adeguatamente le mani. Insomma io ho l'impressione che anche qui si sia fatto il solito pasticcio in cui alla fine si colpiscono certe cose e non altre perchè in una situazione di emergenza dove regna la confusione questa non può che aumentare.
Ma lasciamo da parte quelli che alcuni definirebbero i pensieri di un brontolone un po' conservatore.
Lascia comunque perplessi il fatto che in certi comunicati trasparisse una fiducia incondizionata nelle autorià sanitarie e ben poca o nessuna nel Buon Dio e nella sua Grazia e Potenza.
Nel mio paese ai tempi della peste del Seicento, con il paese dimezzato dai decessi, le autorità religiose (cui si aggregarono peraltro anche quelle civili)  indissero una solenne processione  per chiedere alla Vergine del Rosario la fine dell'epidemia. Si fece pubblica richiesta di digiuni e preghiere e dopo poco la peste lasciò la comunità. Ancora oggi in forza di quel voto la statua della Vergine viene portata in processione per le vie del paese ogni anno.
Quanto di questo era presente in alcuni dei recenti comunicati? Ben poco. Si è data la possibilità della messa trasmessa in video (cosa in sè buona) facendo però passare l'idea che la celebrazione abbia bisogno di un pubblico per essere tale e questo non è affatto vero.
E i malati che necessitavano della comunione? E chi, magari spinto dalla paura e dal peso delle proprie colpe, avesse voluto confessarsi?
La domanda di fondo è: quanto crediamo veramente che il padrone della vita e della morte sia Dio?
Capite che i motivi per rimanere interdetti, al netto di tutte le scusanti, comunque vi sono.
Un'ultima riflessione infine. 
In questi giorni, caratterizzati dalla paura del contagio di un virus comunque nuovo e senza per ora vaccini efficaci, ho letto attacchi e visto vignette che mettevano in guardia dal vedere in questi eventi il castigo di Dio e il riferimento era soprattutto alle parole usate da Padre Livio Fanzaga nella sua rubrica su Radio Maria.
Ora, lasciando da parte il fatto che Padre Livio bisognerebbe ascoltarlo davvero per esprimere un eventuale parere, resta pur vero che se anche non vogliamo parlare di castigo possiamo però parlare di segno (o segno dei tempi)  che in un qualche modo ci richiama alla conversione cui siamo costantemente invitati come cristiani.
Questa non è una novità del vivere cristiano, ad esempio le comunità cristiane di certo intrepretarono come un segno dei tempi molto forte la caduta di Gerusalemme e lo stesso Gesù ha invitato  a distinguere e prestare attenzione ai segni che si sarebbero palesati.
Non può essere questa vicenda del Coronavirus un segno per un rinnovato invito alla conversione per la comunità cristiana? Un segno che in qualche modo la richiami al fatto che, come spiegato nella seconda lettura di domenica scorsa, se nostri sono il presente e il futuro non dobbiamo però dimenticarci che noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio ?
A tal proprosito in questi giorni mi è tornato tra le mani un libretto sulle apparizioni (riconosciute ufficialmente) de la Salette in cui la Vergine nel 1846 in Francia apparve a due pastorelli e nel messaggio che consegnò c'erano alcune parole molto interessanti:
«Avvicinatevi, figli miei non temete: sono qui per annunciarvi un grande messaggio. Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciare libero il braccio di mio Figlio. Esso è così forte e pesante che non posso più sostenerlo».
«Coloro che conducono i carri non fanno che bestemmiare il Nome di mio Figlio. Queste sono le due cose che appesantiscono tanto il braccio di mio Figlio. Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra».
«Ve l’avevo dimostrato l’anno passato con le patate: voi non ci avete fatto caso. Anzi, quando ne trovavate di guaste, bestemmiavate il Nome di mio Figlio. Esse continueranno a marcire e quest’anno, a Natale, non ve ne saranno più».
E' un passaggio certo che fa riflettere e che, senza per questo cadere in tentazioni millenariste o catastrofiste, contribuisce alla riflessione.
Anche perchè in abito ecclesiale siamo tanto bravi a credere e ad accodarci alla vulgata eco-catastrofista della Greta Thumberg di turno ben imbevuta di ideologia neo-malthusiana che è quanto di più antiumano vi sia.
Per concludere però in positivo desidero evidenziare come vi siano stati esempi di pastori davvero innamorati del proprio gregge che hanno fatto sentire  il conforto e la vicinanza di Cristo e della sua Chiesa in questi giorni di prova.
Fa del bene ascoltare le parole di don Gabriele, parroco di Castiglione D'Adda una delle zone cosiddete rosse per via dell'alto numero dei contagi, rivolte ai suoi parrocchiani.
Potete trovarle cliccando qui
Sono parole belle, di una bellezza che sa di eternità e profuma di Cristo, parole di cui oggi abbiamo più che mai bisogno.
 

venerdì 14 febbraio 2020

Tutto quadra...


L’ultima mia frequentazione della kermesse sanremese risale ormai a parecchi anni fa quando Morandi, Ruggeri e Tozzi cantavano “si può dare di più” dal palco dell’Ariston.
E anche quest’anno sono rimasto fedele a questa mia astinenza per cui ho dovuto reperire da altre fonti il monologo sul Cantico dei Cantici di Roberto Benigni.
Ho dovuto anche vedere in differita la performance di Fiorello in abito talare e lo spogliarello “modello San Francesco” di tale Achille Lauro.                                                                                    In mezzo a tutto ciò ho anche sinceramente apprezzato l’esibizione e soprattutto la testimonianza del cantante Paolo Palumbo.
Devo immediatamente affermare e con convinzione che non sono per nulla d’accordo con quanti hanno affermato che il Festival non è più cristiano e che i tempi sono cambiati. Sanremo infatti non è mai stato cristiano, semplicemente era ed è per certi versi ancora il festival della canzone italiana.
Un appuntamento annuale che costituiva uno specchio della società italiana mentre oggi costituisce una efficacissima cassa di risonanza per presentare ed introdurre nuovi modelli e stili di vita per chi ne impugna le redini.
Un po’ come se i cristiani dei primi tre secoli si fossero lamentati del fatto che i ludi gladiatori non erano ispirati dal loro credo. Una semplice assurdità. Allora come oggi (e prima lo comprendiamo e accettiamo e meglio sarà) i cristiani sono minoranza nella società. Una minoranza guardata con sufficienza perlopiù (tranne qualche sprazzo di interesse a fini meramente elettorali) cui nel nostro Occidente non è richiesto un martirio del sangue, ma un martirio culturale ed intellettuale che non è da meno quanto ad aggressività.
D’altro canto quanto visto nella cittadina ligure su quel palco è perfettamente coerente con una serie di fatti.
Oggi dai pulpiti delle chiese capita sempre più spesso di non sentire spiegare il Vangelo bensì estratti di psicologia, sociologia, politica (intesa come “vi dico chi votare o chi non votare”), buonismo con spruzzate di solidarismo e assistenzialismo a là carte.
Qual è quindi la logica conseguenza? Che se il Vangelo è lasciato in disparte dai cristiani (certo non tutti, ma è difficile negare questa tendenza) prima o poi qualcun altro se ne approprierà e lo utilizzerà ovviamente per i suoi scopi.
Sarebbe interessante fare un sondaggio su quante volte nelle nostre comunità cristiane si sia sentito parlare del Cantico e lo si sia illustrato con chiarezza. Credo che la risposta ci sorprenderebbe in negativo.
Questo basterebbe per chiudere il discorso sulla performance di Benigni.
Però mi ha ampiamente sorpreso la lode sperticata di molti cristiani tra cui molti pastori a questo monologo definito un saggio di alta teologia da alcuni, un anelito di verità da altri ed un modello esemplare di catechesi per altri ancora.
Senza nulla togliere alla indubbia capacità artistica del Roberto nazionale mi dico in totale disaccordo.
E ancor di più mi ha lasciato interdetto chi, pur manifestando perplessità, ha applaudito al fatto che almeno si è parlato dell’amore umano.
Spiego brevemente il perché.
Innanzitutto perché il parlare dell’amore umano dovrebbe necessariamente escludere l’amore divino? L’uno non esclude l’altro. Già nella tradizione ebraica il Cantico è sempre stato interpretato in senso allegorico senza che venisse taciuta o censurata la componente erotica del testo.
E poi come dico sempre ai miei studenti, non si può leggere la Bibbia se non come un unicum in cui tutto è collegato e tutto si richiama. A chi afferma che il Cantico è il solo libro in cui (a forza e dopo molte resistenze secondo Benigni) si parla di sessualità consiglio di leggere ad esempio Genesi 2,18-25 che non è meno poetico e altrettanto  carico di bellezza e sensualità.
A dispetto di quanto proclamato da Benigni in merito a certa sessuofobia clericale (che comunque non esaurirebbe la Chiesa, il  suo pensiero e il suo magistero) lo Spirito Santo ha suscitato grandi Santi come Paolo VI e Giovanni Paolo II che ci hanno insegnato che sessualità, piacere e amor di Dio si compenetrano uno con l’altro.
Il Santo Papa della famiglia ci ha spiegato che un uomo ed una donna, in una cornice sponsale (ben presente anche nel Cantico e questo non si può negare) quando si amano e si donano totalmente ed incondizionatamente non solo operano per la propria santificazione, ma contribuiscono alla santificazione della Chiesa stessa.
Il problema non è il piacere che in quanto creato da Dio è cosa buona, ma quando questo diviene lo scopo ultimo dell’esistenza. In quel caso che potremmo definire di vera e propria idolatria (perché distoglie l’uomo dal suo vero fine) si sta scavando la tomba dell’amore.
Ed infine un'ultima considerazione.
Siamo reduci dalla giornata della memoria in cui abbiamo sentito (giustamente) il richiamo a vigilare perché cessi ogni forma di antisemitismo.
Ebbene io noto come quest'ultimo si stia facendo strada in modalità e contesti del tutto nuovi.
Forse vi ricorderete in dicembre gli strali di Dacia Maraini contro il Vecchio Testamento reo di essere fonte di intolleranza, violenza, misoginia, ecc. (nello stesso articolo in cui Gesù stesso veniva associato al movimento delle sardine).
Oggi, anche se con altri toni, un Benigni ci instilla l’idea che in fondo gli Ebrei ed in seguito i Cristiani siano appunto dei bigotti oscurantisti e repressi  che hanno confinato il Cantico dei Cantici in una sorta di gabbia in attesa di essere "liberato" e rivelato. 
Oltre a dissentire profondamente da queste accuse rimango addolorato per il fatto che i pastori, i nostri pastori, non abbiano proferito parola di fronte a tali insinuazioni e anzi che molti si siano affrettati ad applaudirle e che la sola comunità ebraica abbia invece protestato e reagito con forza all’insulto e all’offesa.
Sono addolorato per l’ingiustizia insita in tali affermazioni e perché forse non abbiamo capito che, se oggi se la prendono con i nostri fratelli maggiori (così furono appellati con affetto da Giovanni Paolo II gli Ebrei), prima o poi verrano a cercare il resto della famiglia e noi gli apriremo la porta di casa magari salutandoli con un applauso.

lunedì 27 gennaio 2020

I secoli bui del Medioevo...



L'epoca buia del Medioevo!
Ormai questa esclamazione la sento di continuo ed è diventato il nuovo leit motiv di buona parte delle conversazioni.
L'accusa di essere un medievale ormai è seconda solo (complici anche le recentissime tornate elettorali) a quella di essere un fascista razzista.
E in effetti sul tanto vituperato Medioevo potremmo dire che:

  • nel buio Medioevo i bambini indesiderati venivano addirittura abbandonati nella "ruota" situata presso conventi e monasteri mentre oggi nella nostra luminosa civiltà il problema è stato risolto alla radice: li ammazziamo prima che nascano. 
  • Nei secoli oscuri del Medioevo la gente era sottoposta ad ogni genere di angheria e a malapena poteva chiedere asilo rifugiandosi in una chiesa considerata luogo sacro ed inviolabile. Però noi che oggi siamo di mentalità molto più aperta abbiamo eliminato ogni discriminazione per cui la violenza non è rimasta fuori dalle chiese: la grande conquista è che addirittura un prete può essere sgozzato mentre si accinge a celebrare messa nella civilissima Francia. 
  • Quegli oscurantisti dei Medievali costruivano grandi cattedrali in mezzo al nulla dissanguandosi (e già non campavano benissimo) e ancora oggi queste si ergono imponenti a ricordarci il buio di quei secoli. Ma per fortuna noi moderni siamo capaci di edificare chiese al passo con i tempi, edifici che sappiano confondersi con il resto delle abitazioni e non avere inutili pretese di distinguersi. In effetti oggi molte chiese assomigliano a dei capannoni come quelli dei supermarket con la differenza che quelli sono sempre più pieni e queste sempre più vuote. 
  • L'oscuro Medioevo pullulava di ospitali per malati, di lazzaretti per i moribondi, i derelitti e gli appestati. Oggi noi illuminati abbiamo capito che si possono evitare molte sofferenze eliminandoli subito, ma sempre e solo nel loro migliore interesse sia chiaro.  
E potremmo continuare ancora per molto.
Ma siamo sicuri che il buio che attribuiamo a quell'epoca profondamente cristiana non sia in realtà nei nostri occhi?
E se è vero che gli occhi sono lo specchio del cuore...


mercoledì 1 gennaio 2020

Di schiaffi e dintorni

Lo giuro, ho cercato di non scrivere sullo schiaffo del Pontefice regnante alla fedele in piazza San Pietro, ma tutto ciò che ho letto in queste ore su vari social ha contribuito a farmi cedere alla tentazione di dire qualcosa su questo episodio (comunque assolutamente marginale rispetto ad altri che vedono coinvolto il medesimo attore).
Chi volesse può rivedere l’episodio qui
Partiamo da un assunto.
Chiunque di noi conosca una persona di cui abbiamo grande stima, e che consideriamo un padre e una guida e un maestro, nel vedere una sua reazione scomposta e istintiva (perché sarebbe davvero difficile negare lo sia stata vedendo il gesto del Papa) rimarrebbe quanto meno sorpreso e per certi versi turbato. Questo non implica di per sé un giudizio, ma semplicemente un interrogarsi su di un atteggiamento che non ci si aspettava soprattutto da quella persona.
È quindi perfettamente comprensibile e direi anche normale che lo schiaffo dato da Francesco alla fedele che in piazza San Pietro lo ha strattonato (e questo non si può negare anche se c'è chi lo ha fatto) abbia lasciato interdetti molti.
Ma immediatamente l’argomento si è spostato sul pro o contro Bergoglio e così la frittata è fatta.
Personalmente più che lo schiaffo (anche se ammetto che non mi ha fatto piacere vederlo) mi ha interrogato molto il volto  del Papa mentre si allontanava. Era visibilmente stravolto dalla rabbia.
Il Pontefice ha poi chiesto pubblicamente scusa e questo oltre che andare a suo merito ha di fatto chiuso la vicenda.
Se non che ho letto improbabili paragoni tra lo schiaffo di Papa Francesco e la cacciata dei mercanti dal tempio operata da Gesù. Non commento oltre perché direi che è più che evidente la mole della sciocchezza.
Ho letto anche diverse persone che chiedono a gran voce le scuse della fedele per ciò che ha osato fare. Magari le scuse arriveranno però ammettiamo che scene come questa si vedono praticamente ogni volta che un Papa passa in mezzo alla gente e che se non ci fosse stata la sua reazione così imprevista nulla sarebbe mai finito sui giornali.
Non ricordo poi lo stesso zelo nel chiedere le scuse quando un fedele saltò letteralmente addosso a Papa Benedetto facendolo addirittura cadere. Ratzinger non reagì in alcun modo e anzi si rialzò e celebrò regolarmente poco dopo. Vi fu allora chi pretese le scuse pubbliche dell’autore di quel gesto? Io non ne ricordo alcuna.
Immaginiamoci poi se un tale gesto fosse arrivato da personaggi oggi additati come i “cattivi” di turno quali Trump, Salvini, Meloni o lo stesso Papa emerito. Scommettiamo su quali sarebbero stati i commenti e le reazioni? Penso ci sarebbe da riflettere.
Infine una considerazione di carattere più generale.
Quando si entra nel circo mediatico (e nessuno può negare che per certi versi questo pontificato più di altri abbia coscientemente voluto entrarci con forza) si deve anche mettere in conto che le regole di quel gioco valgono per tutto e non si può scegliere quando e come sottrarvisi. Questo forse può anche e sottolineo “anche” spiegare la repentinità delle scuse (essendo tutto accaduto davanti alle telecamere).
E su questo il miglior commento che ho letto è quello linkato qui sotto:

https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/01/01/il-cinema-e-i-papi/