Cerca nel blog

giovedì 27 febbraio 2020

Pensieri al tempo del Coronavirus...



Quando in futuro si farà riferimento a questo tempo di certo l'appellativo più probabile sarà "i giorni del Coronavirus" o similari.
Ed in effetti questo post nasce proprio da ciò che è accaduto a causa di questo virus giunto dalla Cina e che ormai è divenuto (purtroppo) parte della nostra quotidianità.
Prima di addentrarmi nell'argomento che intendo sviluppare desidero rivolgere un pensiero a tutti coloro che in questi giorni, di fronte ai decessi ormai arrivati a dodici, hanno commentato che in fondo si trattava di "anziani con importanti patologie pregresse" evidenziando bene quale sia la visione utilitarista della vita ormai affermatasi in Italia e che recenti leggi approvate e sentenze della Corte Costituzionale hanno semplicemente sancito.
Ebbene a costoro auguro di non trovarsi mai di fronte ai familiari delle vittime perchè potrebbe non essere affatto un incontro di cortesia.
Ma non voglio qui parlare diffusamente della questione Covid-19 bensì tenerla sullo sfondo per osservare da vicino la prospettiva ecclesiale ad esso strettamente collegata.
Come ben sapete sono giorni questi senza messa, senza funzioni delle ceneri, senza funerali, senza sacramenti, senza confessioni, senza catechismo e senza attività oratoriali nelle cosiddette zone rosse ed in quelle limitrofe nonchè in quelle regioni dove si sono registrati plurimi casi di contagio.
Premetto che concordo sul fatto che si possano adottare misure stratordinarie per evitare il facile contagio e che si possa giungere a scelte anche impopolari e dolorose. Ma più ancora mi interessa la questione di principio che vi è dietro perchè il Coronavirus passerà (presto o tardi che sia) ma il principio resterà lì inamovibile a ricordarci il nostro operato.
Ebbene la questione, a mio avviso grave, è che una autorità civile abbia stabilito delle misure restrittive inerenti l'ambito religioso (anche se per motivi di pubblica sicurezza) non consultando prima l'autorità religiosa. Anzi, e forse è ancora più grave, la stessa autorità religiosa si è adeguata senza colpo ferire al punto da andare in certi casi addirittura oltre le misure richieste dalle disposizioni indicate da Ministero e Regione.  
Mi si dirà che era per una causa di forza maggiore e posso concederlo senza difficoltà.
Sta di fatto che qui si è sancito (di certo incolpevolmente e probabilmente incosapevolmente) il principio che in una situazione considerata di emergenza una autorità civile possa limitare la libertà di azione nell'ambito religioso a prescindere dall'autorità religiosa stessa che diviene una semplice esecutrice.
Siccome mi è stato insegnato anni orsono a ragionare sui massimi sistemi ritengo che siamo entrati in un campo pericoloso perchè oggi lo si è fatto per un bene unanimemente riconosciuto, un domani chissà...
Lascio a voi di fantasticare sui possibili scenari futuri.
E veniamo ora a ciò che è stato stabilito dai nostri vescovi in merito all'emergenza Coronavirus. Come abbiamo detto sono state sospese tutte le funzioni, inizialmente però si erano solo (si fa per dire) vietati la comunione in bocca e il segno della pace (sostituito in certi casi da un bel sorriso perchè "volemose bene"!). In seguito poi si è arrivati alla sospensione delle Messe e di tutto il resto.
Una nota di comicità: si è data disposizione di vuotare la acquasantiere che però in certe parrocchie che conosco avevano accumulato una notevole quantità di mucillaggine al punto da poter costituire un habitat naturale per le rane della piaga biblica.
Ma a parte questa battuta simpatica mi chiedo perchè allora non si sia vietato tutto...perchè si sa che ormai in tantissime funzioni il Padre Nostro lo si prega dandosi tutti la mano, che spesso i banchi della chiesa sono più sporchi ancora dei banchi di scuola (ed è tutto dire) e che dopo i cellulari la cosa meno igienica al mondo sono i soldi e non mi risulta però sia stata sospesa la questua.
Viene anche da chiedersi quanti fedeli ancora usino le acquasantiere, quanti fedeli ricevano ancora la comunione in bocca e se davvero i ministri straordinari della comunione (che sebbene si debbano chiamare in casi di assoluta necessità ormai sono diventati parte dell'ordinario) si siano lavati adeguatamente le mani. Insomma io ho l'impressione che anche qui si sia fatto il solito pasticcio in cui alla fine si colpiscono certe cose e non altre perchè in una situazione di emergenza dove regna la confusione questa non può che aumentare.
Ma lasciamo da parte quelli che alcuni definirebbero i pensieri di un brontolone un po' conservatore.
Lascia comunque perplessi il fatto che in certi comunicati trasparisse una fiducia incondizionata nelle autorià sanitarie e ben poca o nessuna nel Buon Dio e nella sua Grazia e Potenza.
Nel mio paese ai tempi della peste del Seicento, con il paese dimezzato dai decessi, le autorità religiose (cui si aggregarono peraltro anche quelle civili)  indissero una solenne processione  per chiedere alla Vergine del Rosario la fine dell'epidemia. Si fece pubblica richiesta di digiuni e preghiere e dopo poco la peste lasciò la comunità. Ancora oggi in forza di quel voto la statua della Vergine viene portata in processione per le vie del paese ogni anno.
Quanto di questo era presente in alcuni dei recenti comunicati? Ben poco. Si è data la possibilità della messa trasmessa in video (cosa in sè buona) facendo però passare l'idea che la celebrazione abbia bisogno di un pubblico per essere tale e questo non è affatto vero.
E i malati che necessitavano della comunione? E chi, magari spinto dalla paura e dal peso delle proprie colpe, avesse voluto confessarsi?
La domanda di fondo è: quanto crediamo veramente che il padrone della vita e della morte sia Dio?
Capite che i motivi per rimanere interdetti, al netto di tutte le scusanti, comunque vi sono.
Un'ultima riflessione infine. 
In questi giorni, caratterizzati dalla paura del contagio di un virus comunque nuovo e senza per ora vaccini efficaci, ho letto attacchi e visto vignette che mettevano in guardia dal vedere in questi eventi il castigo di Dio e il riferimento era soprattutto alle parole usate da Padre Livio Fanzaga nella sua rubrica su Radio Maria.
Ora, lasciando da parte il fatto che Padre Livio bisognerebbe ascoltarlo davvero per esprimere un eventuale parere, resta pur vero che se anche non vogliamo parlare di castigo possiamo però parlare di segno (o segno dei tempi)  che in un qualche modo ci richiama alla conversione cui siamo costantemente invitati come cristiani.
Questa non è una novità del vivere cristiano, ad esempio le comunità cristiane di certo intrepretarono come un segno dei tempi molto forte la caduta di Gerusalemme e lo stesso Gesù ha invitato  a distinguere e prestare attenzione ai segni che si sarebbero palesati.
Non può essere questa vicenda del Coronavirus un segno per un rinnovato invito alla conversione per la comunità cristiana? Un segno che in qualche modo la richiami al fatto che, come spiegato nella seconda lettura di domenica scorsa, se nostri sono il presente e il futuro non dobbiamo però dimenticarci che noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio ?
A tal proprosito in questi giorni mi è tornato tra le mani un libretto sulle apparizioni (riconosciute ufficialmente) de la Salette in cui la Vergine nel 1846 in Francia apparve a due pastorelli e nel messaggio che consegnò c'erano alcune parole molto interessanti:
«Avvicinatevi, figli miei non temete: sono qui per annunciarvi un grande messaggio. Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sono costretta a lasciare libero il braccio di mio Figlio. Esso è così forte e pesante che non posso più sostenerlo».
«Coloro che conducono i carri non fanno che bestemmiare il Nome di mio Figlio. Queste sono le due cose che appesantiscono tanto il braccio di mio Figlio. Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra».
«Ve l’avevo dimostrato l’anno passato con le patate: voi non ci avete fatto caso. Anzi, quando ne trovavate di guaste, bestemmiavate il Nome di mio Figlio. Esse continueranno a marcire e quest’anno, a Natale, non ve ne saranno più».
E' un passaggio certo che fa riflettere e che, senza per questo cadere in tentazioni millenariste o catastrofiste, contribuisce alla riflessione.
Anche perchè in abito ecclesiale siamo tanto bravi a credere e ad accodarci alla vulgata eco-catastrofista della Greta Thumberg di turno ben imbevuta di ideologia neo-malthusiana che è quanto di più antiumano vi sia.
Per concludere però in positivo desidero evidenziare come vi siano stati esempi di pastori davvero innamorati del proprio gregge che hanno fatto sentire  il conforto e la vicinanza di Cristo e della sua Chiesa in questi giorni di prova.
Fa del bene ascoltare le parole di don Gabriele, parroco di Castiglione D'Adda una delle zone cosiddete rosse per via dell'alto numero dei contagi, rivolte ai suoi parrocchiani.
Potete trovarle cliccando qui
Sono parole belle, di una bellezza che sa di eternità e profuma di Cristo, parole di cui oggi abbiamo più che mai bisogno.
 

venerdì 14 febbraio 2020

Tutto quadra...


L’ultima mia frequentazione della kermesse sanremese risale ormai a parecchi anni fa quando Morandi, Ruggeri e Tozzi cantavano “si può dare di più” dal palco dell’Ariston.
E anche quest’anno sono rimasto fedele a questa mia astinenza per cui ho dovuto reperire da altre fonti il monologo sul Cantico dei Cantici di Roberto Benigni.
Ho dovuto anche vedere in differita la performance di Fiorello in abito talare e lo spogliarello “modello San Francesco” di tale Achille Lauro.                                                                                    In mezzo a tutto ciò ho anche sinceramente apprezzato l’esibizione e soprattutto la testimonianza del cantante Paolo Palumbo.
Devo immediatamente affermare e con convinzione che non sono per nulla d’accordo con quanti hanno affermato che il Festival non è più cristiano e che i tempi sono cambiati. Sanremo infatti non è mai stato cristiano, semplicemente era ed è per certi versi ancora il festival della canzone italiana.
Un appuntamento annuale che costituiva uno specchio della società italiana mentre oggi costituisce una efficacissima cassa di risonanza per presentare ed introdurre nuovi modelli e stili di vita per chi ne impugna le redini.
Un po’ come se i cristiani dei primi tre secoli si fossero lamentati del fatto che i ludi gladiatori non erano ispirati dal loro credo. Una semplice assurdità. Allora come oggi (e prima lo comprendiamo e accettiamo e meglio sarà) i cristiani sono minoranza nella società. Una minoranza guardata con sufficienza perlopiù (tranne qualche sprazzo di interesse a fini meramente elettorali) cui nel nostro Occidente non è richiesto un martirio del sangue, ma un martirio culturale ed intellettuale che non è da meno quanto ad aggressività.
D’altro canto quanto visto nella cittadina ligure su quel palco è perfettamente coerente con una serie di fatti.
Oggi dai pulpiti delle chiese capita sempre più spesso di non sentire spiegare il Vangelo bensì estratti di psicologia, sociologia, politica (intesa come “vi dico chi votare o chi non votare”), buonismo con spruzzate di solidarismo e assistenzialismo a là carte.
Qual è quindi la logica conseguenza? Che se il Vangelo è lasciato in disparte dai cristiani (certo non tutti, ma è difficile negare questa tendenza) prima o poi qualcun altro se ne approprierà e lo utilizzerà ovviamente per i suoi scopi.
Sarebbe interessante fare un sondaggio su quante volte nelle nostre comunità cristiane si sia sentito parlare del Cantico e lo si sia illustrato con chiarezza. Credo che la risposta ci sorprenderebbe in negativo.
Questo basterebbe per chiudere il discorso sulla performance di Benigni.
Però mi ha ampiamente sorpreso la lode sperticata di molti cristiani tra cui molti pastori a questo monologo definito un saggio di alta teologia da alcuni, un anelito di verità da altri ed un modello esemplare di catechesi per altri ancora.
Senza nulla togliere alla indubbia capacità artistica del Roberto nazionale mi dico in totale disaccordo.
E ancor di più mi ha lasciato interdetto chi, pur manifestando perplessità, ha applaudito al fatto che almeno si è parlato dell’amore umano.
Spiego brevemente il perché.
Innanzitutto perché il parlare dell’amore umano dovrebbe necessariamente escludere l’amore divino? L’uno non esclude l’altro. Già nella tradizione ebraica il Cantico è sempre stato interpretato in senso allegorico senza che venisse taciuta o censurata la componente erotica del testo.
E poi come dico sempre ai miei studenti, non si può leggere la Bibbia se non come un unicum in cui tutto è collegato e tutto si richiama. A chi afferma che il Cantico è il solo libro in cui (a forza e dopo molte resistenze secondo Benigni) si parla di sessualità consiglio di leggere ad esempio Genesi 2,18-25 che non è meno poetico e altrettanto  carico di bellezza e sensualità.
A dispetto di quanto proclamato da Benigni in merito a certa sessuofobia clericale (che comunque non esaurirebbe la Chiesa, il  suo pensiero e il suo magistero) lo Spirito Santo ha suscitato grandi Santi come Paolo VI e Giovanni Paolo II che ci hanno insegnato che sessualità, piacere e amor di Dio si compenetrano uno con l’altro.
Il Santo Papa della famiglia ci ha spiegato che un uomo ed una donna, in una cornice sponsale (ben presente anche nel Cantico e questo non si può negare) quando si amano e si donano totalmente ed incondizionatamente non solo operano per la propria santificazione, ma contribuiscono alla santificazione della Chiesa stessa.
Il problema non è il piacere che in quanto creato da Dio è cosa buona, ma quando questo diviene lo scopo ultimo dell’esistenza. In quel caso che potremmo definire di vera e propria idolatria (perché distoglie l’uomo dal suo vero fine) si sta scavando la tomba dell’amore.
Ed infine un'ultima considerazione.
Siamo reduci dalla giornata della memoria in cui abbiamo sentito (giustamente) il richiamo a vigilare perché cessi ogni forma di antisemitismo.
Ebbene io noto come quest'ultimo si stia facendo strada in modalità e contesti del tutto nuovi.
Forse vi ricorderete in dicembre gli strali di Dacia Maraini contro il Vecchio Testamento reo di essere fonte di intolleranza, violenza, misoginia, ecc. (nello stesso articolo in cui Gesù stesso veniva associato al movimento delle sardine).
Oggi, anche se con altri toni, un Benigni ci instilla l’idea che in fondo gli Ebrei ed in seguito i Cristiani siano appunto dei bigotti oscurantisti e repressi  che hanno confinato il Cantico dei Cantici in una sorta di gabbia in attesa di essere "liberato" e rivelato. 
Oltre a dissentire profondamente da queste accuse rimango addolorato per il fatto che i pastori, i nostri pastori, non abbiano proferito parola di fronte a tali insinuazioni e anzi che molti si siano affrettati ad applaudirle e che la sola comunità ebraica abbia invece protestato e reagito con forza all’insulto e all’offesa.
Sono addolorato per l’ingiustizia insita in tali affermazioni e perché forse non abbiamo capito che, se oggi se la prendono con i nostri fratelli maggiori (così furono appellati con affetto da Giovanni Paolo II gli Ebrei), prima o poi verrano a cercare il resto della famiglia e noi gli apriremo la porta di casa magari salutandoli con un applauso.