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martedì 21 aprile 2020

Povertà…




Giovannino Guareschi metteva sulla bocca del suo don Camillo queste parole: “la povertà non è un merito, ma una disgrazia”.                   
E aveva quanto mai ragione!  L’automatismo ricco = cattivo e povero = buono è ormai diffusissimo a tutti i livelli da quello politico a quello ecclesiale passando per quello educativo. 
Ma la povertà non costituisce un patentino di bontà così come la ricchezza di malvagità. 
Immaginatevi la ricchezza come la luce del sole.                                                    Se colpisce un diamante esso avrà una brillantezza unica e bellissima. Se la stessa luce si dirige su di un coccio di vetro non farà altro che evidenziarne tutta la banalità. 
Ora immaginatevi la povertà come del fango.                                              Potrà ricoprire il diamante, ma questo non diminuisce il suo valore e anzi...una volta lavato via il fango avrete trovato un tesoro. Parimenti se lo stesso fango ricopre un coccio di vetro non ne aumenta il valore e anzi...oltre alla delusione per il ritrovamento senza valore rischierete anche di tagliarvi.                                                    La povertà ( e parimenti la ricchezza) fa solo emergere il vero delle persone, ma non ne determina l’intima essenza. Al più può contribuire a nascondere o rivelare      maggiormente ciò che abita il cuore dell’uomo. 
Comprendiamo così meglio quando Gesù afferma che “i poveri li avrete sempre con voi”. 
Egli lo ha detto non perché banalizzassimo la povertà o al contrario la mitizzassimo, ma perché essa (materiale o spirituale che sia) ci mettesse di fronte alla verità del nostro cuore. 
E per guardare al nostro cuore e accostarci a quello dei fratelli abbiamo bisogno dello sguardo di Colui che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, uno sguardo di Amore e al contempo di Verità...insomma lo sguardo del Risorto.

domenica 12 aprile 2020

Il profumo della Pasqua



Anche quest’anno il Triduo Santo è arrivato e ha trovato il suo culmine nell’annuncio della Resurrezione di Cristo. 
Ho un preciso ricordo legato ai tanti tridui vissuti in questi 41 anni. 
E più precisamente molti ricordi sono legati ai profumi. 
Il profumo dell’incenso di quando servivo come chierichetto nella mia parrocchia natale, il profumo delle candele, quello dei rami d’ulivo e soprattutto il profumo della primavera tutto intorno, il marchio della natura che comincia a svegliarsi dal lungo sonno invernale. 
Eh sì perché diciamocela tutta: la vita profuma di buono e nessuno di noi può negarlo. 
Come un neonato che ha un  profumo indescrivibile e che risveglia tenerezza in tutti coloro che gli stanno accanto o come quei profumi che ci riportano immediatamente all’età dell’innocenza e ai bei ricordi. 
Ma ogni profumo è destinato prima o poi ad affievolirsi o peggio ancora ad essere guastato. 
In questi giorni che pure vedono il ritorno della primavera il puzzo della morte, della paura e dello sconforto sono una triste realtà. 
Ormai tutti noi abbiamo nelle narici il puzzo dei disinfettanti e dei prodotti a base d’alcool e per tanti  l’odore della malattia e delle corsie ospedaliere è una triste quotidianità siano essi pazienti o personale sanitario. 
E tutto questo ci ricorda che ineluttabilmente questa vita che abbiamo ricevuto e nella quale siamo immersi è un’esistenza già consegnata alla morte e ben riassunta da quel “polvere sei e polvere ritornerai “. 
Ma in quel giorno di quasi duemila anni fa in un giardino della Giudea si è sprigionato un profumo così  intenso da non poter più essere cancellato. Il profumo della Vita piena in cui ogni promessa trova attuazione, in cui ogni esistenza trova il proprio senso, in cui le storie incompiute trovano compimento, le speranze la loro realizzazione e ciò che è destinato alla decadenza trova l’eternità. Un profumo che circonda e attende in pienezza tutti coloro che crederanno a Gesù morto e  risorto. 
Che la grazia del Risorto ci aiuti a “gustare e vedere quanto è buon il Signore” oltre i nostri meriti e nonostante i nostri demeriti. 

Gli auguri di una Santa Pasqua a tutti voi. 

sabato 4 aprile 2020

Altre riflessioni al tempo del coronavirus...


Questo post necessita di due premesse importanti. 
La prima è questa: la situazione venutasi a creare con il Covid-19 ha spiazzato tutte le istituzioni. Ha colto impreparato il governo, ma oserei dire non solo quello. Tutte le rappresentanze politiche in qualche modo non avevano messo in conto cosa sarebbe potuto accadere. Certo è facile dire a posteriori cosa si sarebbe dovuto fare (e a dire il vero anche prima qualcuno aveva chiesto di agire diversamente) ma è un dato di fatto che la politica abbia dovuto destarsi di colpo dal proprio giaciglio fatto di schermaglie finalizzate unicamente ad accaparrarsi il consenso. 
Certo fare peggio di chi attualmente governa è improbabile, ma sostenere che chiunque altro fosse stato al timone avrebbe agito in maniera impeccabile è altrettanto errato. Quest’epidemia ha colto di sorpresa tutti e lo stiamo ahimè vedendo non solo nella nostra Italia, ma in tutto il mondo. Anche la narrazione trionfale cinese su come si sia debellato il virus inizia a scricchiolare e diversi indizi ci fanno intuire come il numero dei deceduti e la gestione dell’emergenza sanitaria non corrispondano a quanto ci è stato propinato. 
E tale pandemia non ha risparmiato nessuno ivi compresa la Chiesa (anche se non esauribile ovviamente in una semplice istituzione umana) che si è ritrovata a dover capire come muoversi e operare in una situazione di emergenza che dai tempi della seconda guerra mondiale non si era di fatto più verificata. Con onestà dobbiamo anche ammettere che il mondo ecclesiale esce un poco ammaccato almeno in alcune sue compagini. 
Più in generale il morbo ha costretto tutto e tutti a guardare all’essenziale, ai principi fondanti e nel caso della chiesa italiana a riflettere (e forse un po’ rosicare) sul principio della libertà religiosa e dell’indipendenza dalle istituzioni civili. Non voglio soffermarmi troppo su questo, almeno non qui, ma vi invito a leggere bene la risposta inviata alla CEI che aveva chiesto chiarimenti in merito alla possibilità di recarsi in chiesa a pregare muniti di apposita autocertificazione. 
La seconda premessa riguarda più nello specifico questo blog ed il sottoscritto. Alcuni anni fa creai questo spazio più che altro per costringermi a scrivere molte delle cose su cui mi soffermavo a riflettere. E in questi anni mi ha sorpreso vedere che vi erano lettori sparsi un po’ dappertutto. Con alcuni ci si è anche scritti e mi ha fatto personalmente piacere sapere che non ero il solo a pensare certe cose. Perché dico questo? Perché è possibile che ciò che scriverò qui di seguito non incontri stavolta il favore dei miei due o tre lettori il che è prima di tutto lecito e se qualcuno si sentisse in dovere di dissentire lo scriva liberamente. Mi sono sempre assunto la piena responsabilità di ciò che scrivo e prima ancora ho pensato per cui comprendo benissimo che si possa non concordare e volentieri lo accolgo anche come un’occasione per riflettere ulteriormente su quanto affermo. 
Ed ora veniamo al succo della questione. 

Come tantissimi italiani ho seguito con la mia famiglia venerdì 27 marzo la preghiera di Papa Francesco cui è seguita la solenne benedizione. 
Mi ero ripromesso di non scrivere nulla, ma poi nei giorni a seguire ho notato alcune cose. 
Dopo la preghiera del Papa ho percepito due atteggiamenti distinti e antitetici tra loro. 
C’erano i contrari a prescindere, quelli che qualunque cosa capiti “è colpa di Bergoglio” e che si sono affrettati a scandagliare ogni particolare dell’evento per trovare falle, difetti e mancanze. Questi ci sono sempre stati anche sotto altri pontificati anche se forse in maniera minore e oggi molti di quelli si sono riconvertiti ad entusiasti, ma se questi li avevo già messi in conto ammetto che mi hanno sorpreso di più quelli dell’altro “fronte”. 
È la schiera dei normalizzatori che solitamente quando si esprimeva una qualche perplessità in merito a gesti, parole e scelte di questo pontificato si affrettavano a dire che non era vero, che si stava mancando di misericordia e che il fronte tradizionalista (tipico tra l’altro fare di tutta l’erba un fascio) si aggrappava alle profezie delle varie apparizioni mariane per screditare il Pontefice regnante e tante altre cose che possiamo tralasciare perché ormai risapute. 
Ebbene l’aspetto paradossale è che la corazzata normalizzatrice non si è fatta problemi dopo il 27 marzo a riprendere post dei cosiddetti tradizionalisti e a commentarli con insulti anche coloriti (non mi pare un eccesso di misericordia) e soprattutto a lanciarsi in ardite (a mio giudizio) interpretazioni della preghiera di piazza San Pietro come la piena realizzazione del terzo segreto di Fatima. 
Permettetemi, ma trovo la cosa in sé paradossale e con una buona dose di comicità. 
E il sottoscritto? Se si colloca come si colloca? 
Anche qui devo fare una piccola premessa: chi mi legge sa che non ho lesinato nell’esprimere perplessità, dubbi e talora critiche a determinate istanze di Papa Francesco e del suo pontificato. 
E proprio alla luce di quanto ho visto venerdì 27 marzo non le rinnego e le sostengo ancora.
Perché dico questo? 
Perché in quella piazza bagnata dalla pioggia ho visto il vicario di Cristo fare questo: innalzare, perché tutto il mondo lo vedesse, quel Pane di Vita Nuova che solo dà senso al mondo e all’esistenza di ognuno di noi. 
Lo ha fatto di fronte ad un mondo che è andato e ancora vuole andare  palesemente in un’altra direzione ritenendo di essere unico riferimento di se stesso al punto che alla prima grande difficoltà si rende conto di non avere il controllo di nulla.
Di fronte al Santissimo Sacramento benedicente mi sono sentito confermato nella mia (seppur piccola, traballante e immatura) fede che non è solo mia personale, ma dalla e nella Chiesa mi è stata trasmessa. 
E proprio perché mi sono sentito a casa, confermato e rincuorato da Cristo stesso (perché un Papa, chiunque esso sia, ha il compito primario di confermare nella fede) comprendo perché in tante occasioni precedenti invece sono stato assalito da perplessità, dubbi e fatica, a volte tanta fatica. 
Tutte le volte in cui si è guardato a soluzioni umane troppo umane e con la scusa di rivoluzioni pastorali si è pensato di risolvere tutto senza prima volgere lo sguardo al Diretto Interessato sono stato colto dal dubbio. 
In tutte quelle occasioni mi sono sentito a disagio perché ho avuto l’impressione che in fondo in fondo si ritenesse che l’uomo può fare a meno di Dio. 
Per cui che volete che vi dica? Da che parte stare?
Per me la risposta è piuttosto semplice: né con gli uni né con gli altri. 
Il mio  sforzo deve essere unicamente quello di tenere lo sguardo fisso su quel Pane Vivo (che il vicario di Cristo comportandosi come tale ci ha mostrato) augurandomi, come scriveva Guareschi, non che Dio sia con me, ma che io almeno possa sperare di essere con Dio.