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mercoledì 27 maggio 2020

A rigor di logica...


Ritengo che la parola “logica” oggi infilata in molti discorsi sia ben lontana in realtà dal suo vero significato e che rappresenti uno di quei termini che sono utilizzati per dare maggiore peso ad un discorso e per ricoprirlo di un’aura di indefettibilità  e superiorità morale. 
Infatti si sente spesso dire: 

A rigor di logica un prete che non è sposato non sa nulla della vita di coppia e quindi non  può parlare di matrimonio. Seguono applausi vibranti dagli ascoltatori. 

A rigor di logica per lo stesso motivo uno che abbia fatto promessa di celibato non conosce nulla del sesso e quindi non deve permettersi di fare la morale agli altri. Le mani degli interlocutori si spellano a forza di applaudire. 

A rigor di logica una coppia che parla di castità o dice una bugia o non sa di cosa parla perché come si fa a stare senza sesso e per di più al giorno d’oggi? Cori di approvazione salgono dai partecipanti al dibattito. 

A rigor di logica come può la Chiesa parlare di povertà se possiede ingenti ricchezze? I supporter intonano cori da stadio. 

A rigor di logica noi della parte ricca del mondo non possiamo permetterci di parlare di indigeni e  Amazzonia perché noi siamo quelli che hanno contribuito a oscurare la genuinità del buon selvaggio. Il pubblico si alza in piedi ad applaudire. 

A rigor di logica noi adulti non dobbiamo azzardarci a parlare di ecologia e rispetto della natura perché noi siamo quelli che hanno rovinato il futuro a Greta e alla sua generazione e per questo dovremo pagare. 90 minuti di applausi ininterrotti ed il pubblico in delirio. 

E poi ancora una cosa...

A rigor di logica come ci si può permettere di parlare di aborto e addirittura di un diritto ad esso se  ad ognuno di quelli che ne discutono è stato garantito quel diritto di nascere e vivere che con l’aborto viene sistematicamente negato? 

Urla dal pubblico, lacrime di rabbia e frustrazione per tale affronto,  lancio di oggetti, insulti, accuse di ritorno al Medioevo, di oscurantismo e di un insopportabile bigottismo e soprattutto...la fine di ogni logica, quella vera. 

sabato 2 maggio 2020

Spunti per riflettere...


Ho amici che in quanto personale medico-sanitario vedono e combattono ogni giorno il Coronavirus e le sue conseguenze.
Mi hanno testimoniato la pericolosità insita in questo virus e i rischi per tutti i contagiati per cui davvero non intendo entrare in discorsi tecnici legati alla chiusura o meno delle chiese.
A dirla tutta la questione non è nemmeno sulle chiese chiuse perchè queste sono sempre state aperte bensì sulle celebrazioni coram populo e dobbiamo ammettere che la stessa Conferenza Episcopale Italiana nel suo comunicato dell' 8 marzo non è stata capace di spiegarlo in modo chiaro (se volete potete leggere il comunicato qui).
Quello che mi premeva però sottolineare e che avevo già evidenziato in precedenti post (qui e qui) era la questione delicata del principio della libertà di culto e le implicazioni ad essa inevitabilmente collegate.
Interrogarsi sul principio di tale libertà non significa gridare sguaiatamente per riaprire le chiese e chi se ne importa delle conseguenze, ma ragionare e riflettere su come garantire quella libertà con responsabilità.
E vorrei dire in maniera chiara che una responsabilità può esercitarsi solo nella libertà.
A chi definisce i cattolici come irresponsabili perchè si interrogano sulle modalità  per poter partecipare alla messa rispondo che irresponsabile è chi non sa gestire o gestisce male la propria  libertà e non chi è stato privato di essa a priori.
Ma veniamo al dunque: dopo la conferenza stampa di Conte del 26 aprile le brutte impressioni che avevo avuto si sono concretizzate e sinceramente mi sarebbe piaciuto davvero essermi sbagliato.
Le esternazioni del presidente del Consiglio hanno però operato un mezzo miracolo e hanno fatto battere il colpo ad una CEI del tutto anestetizzata sino a pochi giorni prima.
Il comunicato emesso da quest'ultima appena ricevuta la doccia fredda del divieto delle messe cum populo era durissimo e non dava adito a sconti. Certo aveva un sapore tardivo...un po' come uno che grida "al ladro, al ladro!" quando il criminale gli ha già svaligiato la casa ed è ormai lontano, ma era comunque un segno di vitalità.
Ammetto anche di aver notato come tanti personaggi e non pochi prelati molto "social", che sino all'altro giorno invitavano all'obbedienza assoluta alle autorità civili tacciando di irresponsabilità e bigottismo chiunque anche solo si manifestasse perplesso, dopo il duro comunicato della CEI siano saltati sulla barricata sventolando il vessillo della libertà di culto salvo poi rientrare in un più prudenziale "vediamo però bisogna essere attenti..." dopo le parole del Santo Padre del 28 aprile di cui dirò dopo.
Addirittura un cardinale asseriva che "prima di essere buoni cristiani dobbiamo essere buoni cittadini" e tra le tante cose che ho pensato nel leggerlo mi è sovvenuto di suggerirgli di andare a raccontarlo proprio ai cristiani della chiesa clandestina cinese dove notoriamente l'essere un buon cristiano non è segno di essere un buon cittadino con tutte le conseguenze del caso ( se non ci credete potete leggere le sue parole qui).
Si sa che è molto più comodo salire sulle barricate solo il tempo di farsi notare mentre si sventola una bandiera che contribuire a innalzarle ed eventualmente a morirci combattendo, ma questo ormai è uno sport praticato da tempo e a molteplici livelli.
Una cosa dobbiamo però dirla.
Il trattamento riservato alla CEI e alle sue aspettative in merito al culto è il frutto evidente di una semina disastrosa degli ultimi anni.
La CEI a partire dai suoi vertici si è appiattita e allineata ad un'area politico-istituzionale decidendo di tacere (o tenere un profilo molto basso) su determinate tematiche e sposandone altre in maniera del tutto acritica permettendo che di queste ne fosse fatto un uso ideologico e strumentale e spesso avverso a ciò che la Chiesa stessa insegna da sempre.
E il risultato più evidente è il tracollo sui temi etici nell'arco degli ultimi tre anni a partire dall'approvazione della legge sulle unioni civili seguita poi dal divorzio breve, dalla legge sul bio-testamento per arrivare alle recenti sentenze in materia di fine vita della Corte Costituzionale.
E si badi bene che è improprio parlare di sconfitta perchè per perdere bisogna almeno scendere in battaglia e le gerarchie si defilarono ben prima di qualsiasi agone lasciando consapevolmente soli molti laici e coraggiosi sacerdoti che pure si mobilitarono per fermare le derive etiche di cui sopra.
Una responsabilità che la CEI può a buon diritto condividere anche con il Vaticano (ben prudente nei suoi interventi e quasi sempre fuori tempo massimo) e che si appesantisce ancor di più sapendo il favore esplicito accordato al governo Conte-bis fin dalla sua costituzione e le pressioni esercitate perchè nascesse a tutti i costi.
Quanto affermato ora sulla CEI dovrà prima o poi essere messo sul piatto e ci saranno responsabilità ben precise che dovranno essere assunte, ma resta il dato positivo di una Conferenza Episcopale che ha rialzato la testa e per questo va appoggiata e sostenuta (in primis con la preghiera).
Ma il 28 aprile durante la Messa trasmessa in straeming da S. Marta  hanno fatto discutere le parole pronunciate da Papa Francesco che qui riportiamo:
"In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni"
E qui, come spesso sotto questo pontificato, si è scatenata la ridda sulle interpretazioni e sulle intenzioni celate dietro a queste parole.
Mi limito a due brevi considerazioni.
La prima vuole restare su di un piano meramente comunicativo.
Al di là delle intenzioni il risultato è stato che praticamente tutti i media hanno ripreso e raccontato tali parole come una sconfessione della dura presa di posizione dei vescovi italiani.
Così come il "chi sono io per giudicare", le interviste reiterare a Scalfari  e molte altre frasi il risultato è stato disastroso e il danno che ne è seguito non di poco conto e viene da chiedersi se davvero sia solo una serie di sfortunate coincidenze o che altro.
La seconda considerazione è invece di metodo.
Molti in questi giorni hanno accennato al fatto che tali parole di Francesco siano parte di un sofisticato gioco di diplomazia per ottenere un risultato in merito alla ripresa delle celebrazioni con i fedeli. Una specie di gioco del poliziotto buono (il Pontefice) e poliziotto cattivo (la CEI) ed è ipotesi sensata.
Ma il risultato è una confusione che non fa che aumentare, e con essa la divisione tra fedeli, all'interno dello stesso clero e nelle gererchie ecclesiastiche.
Una confusione che non giova alla Chiesa e meno che mai ora. 
Al di là appunto delle intenzioni e degli scopi di tali parole, in un momento in cui la debolezza della loro posizione era evidente i vertici episcopali italiani si sono visti tacciare di irresponsabilità  per aver puntato i piedi e chi li accusava  ha potuto utilizzare con facilità le parole del Vescovo di Roma. Già in merito alla polemica sulle chiese romane chiuse e poi riaperte nell'arco di ventiquattr'ore si era sacrificato come capro espiatorio il Vicario della città di Roma e ora pare ripetersi la stessa modalità con la CEI.
Se si conseguirà il risultato sperato lo si farà ad un prezzo decisamente alto in termini di credibilità che lascierà profondi strascichi e soprattutto scoperto il fianco a nuovi attacchi. 
Cosa ci riservano i prossimi mesi solo Dio lo sa, ma è bene come Chiesa che si rifletta su quanto sta accadendo ad extra e ancor più ad intra perchè di certo altre prove verranno.