Cerca nel blog

venerdì 14 febbraio 2020

Tutto quadra...


L’ultima mia frequentazione della kermesse sanremese risale ormai a parecchi anni fa quando Morandi, Ruggeri e Tozzi cantavano “si può dare di più” dal palco dell’Ariston.
E anche quest’anno sono rimasto fedele a questa mia astinenza per cui ho dovuto reperire da altre fonti il monologo sul Cantico dei Cantici di Roberto Benigni.
Ho dovuto anche vedere in differita la performance di Fiorello in abito talare e lo spogliarello “modello San Francesco” di tale Achille Lauro.                                                                                    In mezzo a tutto ciò ho anche sinceramente apprezzato l’esibizione e soprattutto la testimonianza del cantante Paolo Palumbo.
Devo immediatamente affermare e con convinzione che non sono per nulla d’accordo con quanti hanno affermato che il Festival non è più cristiano e che i tempi sono cambiati. Sanremo infatti non è mai stato cristiano, semplicemente era ed è per certi versi ancora il festival della canzone italiana.
Un appuntamento annuale che costituiva uno specchio della società italiana mentre oggi costituisce una efficacissima cassa di risonanza per presentare ed introdurre nuovi modelli e stili di vita per chi ne impugna le redini.
Un po’ come se i cristiani dei primi tre secoli si fossero lamentati del fatto che i ludi gladiatori non erano ispirati dal loro credo. Una semplice assurdità. Allora come oggi (e prima lo comprendiamo e accettiamo e meglio sarà) i cristiani sono minoranza nella società. Una minoranza guardata con sufficienza perlopiù (tranne qualche sprazzo di interesse a fini meramente elettorali) cui nel nostro Occidente non è richiesto un martirio del sangue, ma un martirio culturale ed intellettuale che non è da meno quanto ad aggressività.
D’altro canto quanto visto nella cittadina ligure su quel palco è perfettamente coerente con una serie di fatti.
Oggi dai pulpiti delle chiese capita sempre più spesso di non sentire spiegare il Vangelo bensì estratti di psicologia, sociologia, politica (intesa come “vi dico chi votare o chi non votare”), buonismo con spruzzate di solidarismo e assistenzialismo a là carte.
Qual è quindi la logica conseguenza? Che se il Vangelo è lasciato in disparte dai cristiani (certo non tutti, ma è difficile negare questa tendenza) prima o poi qualcun altro se ne approprierà e lo utilizzerà ovviamente per i suoi scopi.
Sarebbe interessante fare un sondaggio su quante volte nelle nostre comunità cristiane si sia sentito parlare del Cantico e lo si sia illustrato con chiarezza. Credo che la risposta ci sorprenderebbe in negativo.
Questo basterebbe per chiudere il discorso sulla performance di Benigni.
Però mi ha ampiamente sorpreso la lode sperticata di molti cristiani tra cui molti pastori a questo monologo definito un saggio di alta teologia da alcuni, un anelito di verità da altri ed un modello esemplare di catechesi per altri ancora.
Senza nulla togliere alla indubbia capacità artistica del Roberto nazionale mi dico in totale disaccordo.
E ancor di più mi ha lasciato interdetto chi, pur manifestando perplessità, ha applaudito al fatto che almeno si è parlato dell’amore umano.
Spiego brevemente il perché.
Innanzitutto perché il parlare dell’amore umano dovrebbe necessariamente escludere l’amore divino? L’uno non esclude l’altro. Già nella tradizione ebraica il Cantico è sempre stato interpretato in senso allegorico senza che venisse taciuta o censurata la componente erotica del testo.
E poi come dico sempre ai miei studenti, non si può leggere la Bibbia se non come un unicum in cui tutto è collegato e tutto si richiama. A chi afferma che il Cantico è il solo libro in cui (a forza e dopo molte resistenze secondo Benigni) si parla di sessualità consiglio di leggere ad esempio Genesi 2,18-25 che non è meno poetico e altrettanto  carico di bellezza e sensualità.
A dispetto di quanto proclamato da Benigni in merito a certa sessuofobia clericale (che comunque non esaurirebbe la Chiesa, il  suo pensiero e il suo magistero) lo Spirito Santo ha suscitato grandi Santi come Paolo VI e Giovanni Paolo II che ci hanno insegnato che sessualità, piacere e amor di Dio si compenetrano uno con l’altro.
Il Santo Papa della famiglia ci ha spiegato che un uomo ed una donna, in una cornice sponsale (ben presente anche nel Cantico e questo non si può negare) quando si amano e si donano totalmente ed incondizionatamente non solo operano per la propria santificazione, ma contribuiscono alla santificazione della Chiesa stessa.
Il problema non è il piacere che in quanto creato da Dio è cosa buona, ma quando questo diviene lo scopo ultimo dell’esistenza. In quel caso che potremmo definire di vera e propria idolatria (perché distoglie l’uomo dal suo vero fine) si sta scavando la tomba dell’amore.
Ed infine un'ultima considerazione.
Siamo reduci dalla giornata della memoria in cui abbiamo sentito (giustamente) il richiamo a vigilare perché cessi ogni forma di antisemitismo.
Ebbene io noto come quest'ultimo si stia facendo strada in modalità e contesti del tutto nuovi.
Forse vi ricorderete in dicembre gli strali di Dacia Maraini contro il Vecchio Testamento reo di essere fonte di intolleranza, violenza, misoginia, ecc. (nello stesso articolo in cui Gesù stesso veniva associato al movimento delle sardine).
Oggi, anche se con altri toni, un Benigni ci instilla l’idea che in fondo gli Ebrei ed in seguito i Cristiani siano appunto dei bigotti oscurantisti e repressi  che hanno confinato il Cantico dei Cantici in una sorta di gabbia in attesa di essere "liberato" e rivelato. 
Oltre a dissentire profondamente da queste accuse rimango addolorato per il fatto che i pastori, i nostri pastori, non abbiano proferito parola di fronte a tali insinuazioni e anzi che molti si siano affrettati ad applaudirle e che la sola comunità ebraica abbia invece protestato e reagito con forza all’insulto e all’offesa.
Sono addolorato per l’ingiustizia insita in tali affermazioni e perché forse non abbiamo capito che, se oggi se la prendono con i nostri fratelli maggiori (così furono appellati con affetto da Giovanni Paolo II gli Ebrei), prima o poi verrano a cercare il resto della famiglia e noi gli apriremo la porta di casa magari salutandoli con un applauso.

Nessun commento:

Posta un commento