Giovannino Guareschi metteva sulla bocca del suo don Camillo
queste parole: “la povertà non è un merito, ma una disgrazia”.
E aveva quanto mai ragione! L’automatismo ricco = cattivo e povero = buono è ormai
diffusissimo a tutti i livelli da quello politico a quello ecclesiale passando
per quello educativo.
Ma la povertà non costituisce un patentino di bontà così come
la ricchezza di malvagità.
Immaginatevi la ricchezza come la luce del sole. Se colpisce un diamante esso avrà una
brillantezza unica e bellissima. Se la stessa luce si dirige su di un coccio di
vetro non farà altro che evidenziarne tutta la banalità.
Ora immaginatevi la povertà come del fango. Potrà ricoprire il diamante, ma questo non diminuisce
il suo valore e anzi...una volta lavato via il fango avrete trovato un tesoro.
Parimenti se lo stesso fango ricopre un coccio di vetro non ne aumenta il
valore e anzi...oltre alla delusione per il ritrovamento senza valore
rischierete anche di tagliarvi. La povertà ( e parimenti la ricchezza) fa solo
emergere il vero delle persone, ma non ne determina l’intima essenza. Al più può contribuire
a nascondere o rivelare maggiormente
ciò che abita il cuore dell’uomo.
Comprendiamo così meglio quando Gesù afferma che “i
poveri li avrete sempre con voi”.
Egli lo ha detto non perché banalizzassimo la povertà o
al contrario la mitizzassimo, ma perché essa (materiale o spirituale che
sia) ci mettesse di fronte alla verità del nostro cuore.
E per guardare al nostro cuore e accostarci a quello dei
fratelli abbiamo bisogno dello sguardo di Colui che fa piovere sui giusti e
sugli ingiusti, uno sguardo di Amore e al contempo di Verità...insomma lo
sguardo del Risorto.
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