Credo molti di voi conoscano la vicenda del bambino con due mamme di Torino. Il comune ha deciso di trascrivere il suo atto di nascita con la conseguenza che sarà figlio di madre A e madre B.
Questa vicenda mi ha fatto molto riflettere anche perché i risvolti sotto molteplici punti di vista non saranno pochi e privi di conseguenze.
C'è però una domanda che mi gira nella testa e nel cuore e che non riesco a far tacere. Provo a esplicitarla.
L'uomo (unico fra tutti gli esseri viventi) é dotato della facoltà di scegliere come improntare la propria vita. Allora la domanda è: secondo quale logica vogliamo vivere? Quella del desiderio?
Si, perché molti, forse moltissimi scelgono tale via.
Vivere secondo la logica del desiderio é mettere prima di tutto se stessi. Infatti noi possiamo desiderare così tanto una cosa che tutto il nostro esistere è orientato al raggiungimento di quella meta che ci siamo prefissati. E badate bene che può valere per qualsiasi cosa, dal più insignificante oggetto tecnologico (per cui vi sono adolescenti che si vendono per uno smartphone) alle persone stesse (per cui un figlio me lo posso produrre, portare a casa e far riconoscere come mio). In ogni ambito il metro di giudizio ed il criterio di valutazione siamo noi e soltanto noi. Anche le stesse relazioni saranno subordinate a ciò che noi desideriamo e saremo noi a poter dire quando e come quel rapporto si dovrà interrompere ( credo che gli esempi siano sotto gli occhi di tutti). E se poi la realtà non è come la desideravamo? Allora anche lì saremo noi a decidere come e quando uscire di scena riprendendo il nostro ruolo di protagonisti assoluti ( so di essere brutale ma è ciò che sta dietro per esempio al discorso dell'eutanasia). La logica del desiderio paradossalmente ci dice (o meglio ci fa credere) che tutto ci è possibile, che si può accontentare ogni nostra aspirazione, ma nel contempo ci rende più soli, intrappolati nei nostri desideri che spesso divengono ossessioni al punto da trasformarci in novelli Achab all'inseguimento disperato delle nostre Moby Dick.
Ma c'è un'altra possibilità, possiamo scegliere di vivere in un altro modo. Possiamo vivere secondo la logica dell'accoglienza.
Si perché accogliere è dire relazione. Relazione in primis con noi stessi, con i nostri limiti (anche quelli che la natura ci ha dato), con i nostri pregi e i nostri difetti e le nostre ricchezze e povertà. Accogliere se stessi e la realtà che ci circonda è il primo modo per crescere e farci comprendere che l'altro (chiunque esso sia) non è un mezzo o un accidente che serve al raggiungimento di un obiettivo o alla realizzazione di un desiderio, ma é un "altro da me". Un universo intero che si affaccia sul mio universo e che chiede alla pari di essere accolto nella sua libertà.
Allora accogliere è prima di tutto considerare l'altro come sacro e inviolabile, sapere che la sua libertà vale più di ogni altra cosa, anche del nostro desiderio, perché quella libertà è la condizione imprescindibile per qualsiasi relazione che tale si voglia definire. Non a caso gli sposi nel matrimonio si dicono l'un l'altra "ti accolgo" e non a caso le nostre nonne e le nostre mamme parlavano di "accoglienza" di una nuova vita, proprio perché siamo di fronte all'incontro di due libertà eguali e distinte.
Se da un lato la logica dell'accoglienza ci fa prendere coscienza dei nostri limiti e delle nostre povertà, insomma ci fa scoprire più vulnerabili, dall'altro però ci insegna che noi siamo ben più dei nostri desiderata, dei nostri successi e dei nostri fallimenti. Ci mostra ad esempio che una coppia può essere estremamente feconda senza avere figli, che un bambino disabile può dare e ricevere amore come qualunque altro (forse anche di più), che una persona ferma in un letto di ospedale non è uno scarto ma una ricchezza e molte altre cose.
E allora torniamo alla domanda iniziale: come vogliamo vivere?
Nessun commento:
Posta un commento